Galeone: Il lavoro ed il potere contrattuale del sindacato dei lavoratori. Chi ha vinto e chi ha perso alla Fiat !
Ho sempre sostenuto e continuo a sostenere che il “lavoro contrattato e partecipato” eleva, innanzitutto, la dignità sociale ed economica della persona, sia lavoratore che cittadino, di questa nostra repubblica fondata sul lavoro.
Ma è altrettanto sostenibile quanto verificabile, pur in tempi e modalità diversificate, che il “potere contrattuale” di un sindacato democratico favorisce il ”patto” – ad ogni livello – sulle condizioni normative ed economiche del lavoro “partecipato” mediante contratto nazionale, settoriale, aziendale e territoriale.
Si constata, di fatto, che nella logica profittevole delle imprese non escluse le multinazionali, le proclamate finalità del “bene comune” e le umane condizioni delle persone, non sempre, sono partecipate.
Anzi ed ancor più, nel terzo millennio in un mondo globale del lavoro umano da caporalato non solo agricolo e edile italiano ma anche in quello del mercato del lavoro tecnologicamente avanzato, industriale e multinazionale, sia occidentale che asiatico, il disagio dei lavoratori viene misurato con i limiti competitivi dei bassi salari.
E’ questa la “vera verità” entro cui la contrattazione collettiva ad ogni livello è, nel 2011, drammaticamente condizionata dalla variabile dipendente sia della domanda che dell’offerta di lavoro.
E’ richiesto il lavoro necessario e più professionale che, però, non sempre è dignitoso della persona. E’ un lavoro ancora mercificato e utilizzato meccanicamente per esigenze robotizzanti nel nuovo modo di produrre durante l’impegnato turno di lavoro giornaliero.
Con questi parametri – verificabili – è stata avviata e si evolve la contrattazione collettiva sul nuovo modello produttivo ed i contenuti – sperimentati e se accettabili – non potranno non essere condivisi dalla maggioranza dei lavoratori che hanno delegato a trattare i loro sindacati.
Su questo interessante e nuovo “scenario” è stata inconcludente e solo propaganda distorta – per chi ha vinto e chi ha perso alla Fiat con “referendum” – il qualificare “storica o meno storica” la percentuale dei “si” e dei “no”.
E’ invece stata tanto motivata quanto seria la definizione di “svolta epocale” quell’invito a valutare – con la evoluzione della rappresentanza sindacale dei lavoratori e la contrattazione collettiva innovativa agli anni 2011 – l’avvio di una “corresponsabile e sofferta scelta” del “sindacalismo democratico italiano”.
Una proposta riformatrice della contrattazione collettiva definita di “secondo livello settoriale” che non casualmente è stata avviata nella multinazionale Fiat ed a seguito dell’ investimento nell’automobile – programmato ed in corso di verifica sindacale – sia a Pomigliano che a Mirafiori, peraltro, aperta a possibili investimenti negli altri siti Fiat di Fabbrica Italia.
Oltre i “si” ed i “no” al referendum l’accordo sindacale è certamente un positivo segno di evoluta e coerente corresponsabilità verso l’esercizio del diritto al lavoro che manca, quale nuova cultura solidale di un sindacato di lavoratori che assume la certezza del “lavoro” e lotta verso il pieno impiego di milioni di giovani che attendono un lavoro da “contrattare e partecipare” fino ai livelli aziendali.
Ed è ancor più una “intesa solidale” proprio in presenza di una contestuale e persistente crisi della occupazione italiana che nel 2009 perde 485.000 posti di lavoro e nei primi due trimestri del 2010 se ne perdono altri 400.000, tra gli occupati di età 15-34 anni, mentre nella fascia di età 35-44 anni, come evidenziato dal Censis, la occupazione decresce dell’1,1% tra il 2008-2009 e dello 0,7% nel 2010.
Da aggiungere, poi, alla crisi del lavoro produttivo ed in carenza di una politica attiva del lavoro, congiunti ai segnali della insufficiente crescita economica del nostro Paese, l’evidente disagio sociale – individuale e famigliare – tamponato in parte dai sostegni al reddito con le integrazioni salariali Inps per le centinaia di migliaia di ore non lavorate sin da luglio 2007.
E’ anche prevista quanto incerta la crescita del Pil di circa l’1% nel 2011 ed è stimato che tali minimi livelli di crescita non danno certezze di ritorno al lavoro produttivo delle migliaia di lavoratori sostenuti dall’Inps.
Ne conseguirà una ulteriore fase di indennizzo per “mobilità” e l’ulteriore definitivo passaggio – più che certo – alla fase di “disoccupazione”.
Ai commenti su Fiat, il Prof. Tito Boeri – “dopo il referendum” – ha commentato con realismo i risultati affermando che “invece dell’accordo storico abbiamo avuto un disaccordo senza precedenti” ed ha auspicato che “il governo si schieri a favore del Paese, anziché della Fiat o di questo o quel Sindacato e spinga che siano anche salvaguardati, in Italia, gli attuali livelli di occupazione”.
Il Prof. Senatore Pietro Inchino, promotore di innovative relazioni industriali da sostenere anche con legge, ha definito la svolta nella multinazionale Fiat “un’esperienza straordinaria di democrazia sindacale a somma positiva che giova anche a chi rimane in minoranza e consente, almeno, di far sentire la propria voce”.
Sono autorevoli commenti che sollecitano aperture e confronti, in presenza di pluralismo sindacale proprio per continuare a contrattare e partecipare ai risultati derivanti dalle impegnate e innovative condizioni di lavoro.
Sono, peraltro, autorevoli commenti che, a mio avviso, orientano a sconfiggere anche le strumentali egemonie politiche-partitiche nei luoghi di lavoro e favoriscono l’avvio dell’esercizio regolato dei diritti di democrazia economica da regolare con accordi tra organizzazioni nazionali interconfederali più che dalla legge.
Accordi avviati e sottoscritti anche nel dicembre 1993 sia per la costituzione delle “rappresentanze sindacali unitarie” che per la “rappresentatività” definita e proposta, nel maggio 2008, dalla CGIL-CISL-UIL e nel contesto complessivo della “riforma del sistema contrattuale” funzionale alla definizione delle condizioni normative ed economiche di lavoro a tutti i livelli: dal nazionale, al settore produttivo, all’azienda ed ai territori.
Non siamo, quindi, all’anno zero ma partiamo dalle storiche e positive esperienze del movimento sindacale democratico dei lavoratori che, liberamente associati e riconosciuti dalle istituzioni democratiche, devono proporre ai Governi la crescita produttiva oltre il prevedibile 1% annuo per dare fiducia e speranza di lavoro ai giovani e per favorire, con la ripresa dello sviluppo economico, una concreta riduzione della continua crescita del debito pubblico.